Blog a cura di Francesco Strazza

Lettera al camposanto

Distinto e insigne camposanto,

con la presente vorrei scusarmi nei Suoi confronti per aver diradato le mie visite al Suo interno. Non nego che, seppur sempre più raramente, ogni occasione di passaggio sui Suoi viali, tra loculi e tombe, rimanga impressa profondamente nel mio animo sensibile e nella mia mortale persona fisica. Ricordo con struggente tenerezza quei dolci pomeriggi autunnali sul finir del giorno, col sole tiepidamente freddo e diafano che accapponava la pelle e penetrava nelle ossa, quando resuscitavano pensieri sepolti, riaffiorando alla mente nel bagliore dei Suoi colorati lumini, nella dolce luce sepolcrale: come vuole che spariscano? L’emozione che ogni singola lapide conosciuta riportava in superficie assieme al ricordo scomparso, come la stessa bara ivi contenuta: come poterla affossare?  

O gli arrivi al Suo mai temibile cospetto nelle torride giornate estive quando le onde della calura accecavano talmente da non poter distinguere chiaramente tra visitatori e visioni fatue esalate dal terreno inumato, creando letteralmente quella poetica “celeste corrispondenza d’amorosi sensi”. Oppure il passaggio esterno, nelle notti buie senza luna, lungo le Sue mura perimetrali con tutte quelle lucine fioche e tremolanti che invitavano allo scavalcamento, onde lasciarsi avvolgere nel drappo delle apparenti tenebre silenti. E, ancora, come ignorare le lunghe passeggiate meditabonde sotto la pioggia battente, coltri di nubi scure e tempestose di tuoni, alla ricerca di riposo sempiterno delle membra e pace perpetua dell’anima? Bei tempi, defunti per sempre!

Non riesco a giustificarLe questo mio progressivo allontanamento, seppur Lei rimanga costantemente nei miei pensieri; non c’è momento attuale della mia vita quotidiana in cui non rammenti con nitidezza la Sua presenza aleggiarmi attorno, alla stregua di un appuntamento immancabile. Sa bene che qualsiasi luogo in cui Lei dimora ha acceso la curiosità di addentrarmi per un sopralluogo, pur improvviso quale la morte stessa, allungare lo sguardo sull’estensione completa come a prender le misure di un corpo e poi lentamente calarmi a fondo nelle Sue viuzze e acciottolati, tra marmi e cipressi, sotto volte e archi, tra croci e lapidi. Che Lei sia stato celebre o anonimo, metropolitano o paesano, frequentato o sperduto, non ha fatto alcuna differenza per me: sa bene che non sono queste caratteristiche che sospingevano i miei passi alla visita solitaria, refrattario a qualsiasi corteo celebrativo, che sia stato un funerale o una commemorazione.

Tra noi due il dialogo non è mai venuto a mancare, è stato vivo e vegeto, se talvolta in un colpo è spirato, è stata soltanto una morte apparente, mai sufficientemente lunga da portare all’affossamento definitivo. Ritornava dall’oscurità in cui era calato, risorto a nuova vita.

Ho sempre ammirato le Sue posizioni ferme e la rigidità del Suo portamento elegante, la figura monumentale anche con solo quattro ossa in croce, il biancore spettrale dei Suoi marmi teatrali, l’alterigia regale delle Sue immobili statue, il lucore incerto della Sua cera consumata ma dignitosa, l’odore penetrante delle Sue muffe ingrigite ma fascinose, i Suoi resti dismessi e fieri all’aria aperta in campi rivoltati, il rimbombo di passi invisibili sotto svettanti volte, il Suo orizzonte limitato ma chiaro e definitivo.

Ma c’è un ma, come ben vede.

Lei sa bene quanto tempo della mia vita ho trascorso in Sua compagnia, tanto che potrebbero nominarmi becchino capo o conferirmi il titolo di salma ad honorem. Vengo al dunque: il punto è che finora ho percorso le Sue aree esclusivamente in posizione verticale, mai e non ancora in quella orizzontale, e soprattutto muovendomi sulle mie gambe, mai e non ancora trasportato. Ogni parte di me che ha talvolta abusato della Sua ospitalità, che sia stata il ventenne romantico e incantato o il trentenne sfrontato e spericolato o ancora il quarantenne lucido e determinato oppure il cinquantenne riflessivo e saggio, ognuno di questi me stesso si è messo in salvo continuando la propria vita fino a lasciare il posto, infine, a un sessantenne debole e impaurito: debole di fronte alla vita e impaurito al pensiero della morte.

Le devo confessare onestamente che negli ultimi periodi, a mano a mano che la coscienza della mia limitata vita prendeva forma, ho assurdamente sperato, nei miei vagabondaggi carichi di ansia crescente, di imbattermi nella lapide di qualcuno di loro che mi ha portato a questo limite anagrafico. Inutilmente: dal ventenne al cinquantenne sono tutti sopravvissuti dalla giovinezza alla mezza età, abbandonandomi nella vecchiaia imminente e impietosa. Non ho letto il loro, il nostro – il mio! – nome da nessuna parte, né in una Certosa, né in un Comunale e neppure in un Memoriale, per quanto a lungo abbia cercato.

Gli stessi me medesimo più giovani e ingrati che mi hanno preceduto nel corso della vita, mi hanno accompagnato dapprima con leggerezza nei Suoi siti con intenti poetici misti a lugubri fantasie, in seguito con scopi puramente architettonici, alla fine con sentimenti di pietà e curiosità umane benché, s’intende, l’umano inumato non fosse stato il sottoscritto. E ora che avrei avuto maggiormente bisogno della loro compagnia e aiuto si sono dileguati, lasciandomi solo innanzi al baratro che mi attende con terrore non dissimulabile.

Mi perdoni adesso se oso impudicamente avanzarLe questa richiesta: per caso, non avendo io controllato con attenzione nel corso dei miei ultimi giri, non risulta mica a Lei già inciso il mio nome su qualche lapide sbadata, in qualche Suo luogo a me sconosciuto? Come ha detto qualcuno, se sei morto ieri, non puoi morire anche oggi.

Nel qual caso la situazione cambierebbe completamente per me, sa? Ritornerei con rinnovato vigore a percorrere i Suoi viali, disposto anche a spazzarli, accenderei i Suoi lumini spenti, curerei il Suo verde e sarei finanche disposto a seppellire e tumulare nuovi ospiti nonché a riesumarne di vecchi.

Disponga di me come più Le aggrada, però prima mi confermi il mio avvenuto decesso indolore: è molto importante per me, mi creda, anzi, direi vitale.

I miei più vivi saluti.


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