Bevo un bicchier d’acqua in cucina, guardo il calendario appeso al muro mentre deglutisco lentamente ogni sorso. È dicembre, il diciannove per l’esattezza, tra una settimana sarà Natale, tra due finirà un altro anno. Ripongo il bicchiere sul tavolo, uscendo dalla stanza getto un’occhiata all’orologio a muro sulla porta. Sono le undici, è domenica mattina, c’è il sole fuori che allunga la sua luce in casa. Decido di andare a fare due passi fino all’edicola nell’attesa che arrivi l’ora di prepararmi il pranzo. Nel pomeriggio leggerò il giornale e guarderò la tv, farò qualche telefonata se mi annoierò. Per cena vedremo, forse ordinerò una pizza da asporto. La domenica pomeriggio è sempre una noia mortale, quasi meglio il lunedì mattina riprendere il solito tran tran.
Mentre sto prendendo il cappotto all’ingresso, un improvviso cerchio alla testa mi annebbia lo sguardo, le gambe come se stessero cedendo, sono costretto a sedermi sulla poltrona in soggiorno, un cappio al collo mi toglie il fiato, un crampo mi attraversa lo stomaco, una fitta mi trapassa il petto, un rigurgito risale in gola, le orecchie si otturano, sto perdendo i sensi.
Riapro gli occhi: cos’è successo? quant’è passato? Guardo fuori dai vetri del balcone, la luce illumina l’abete in giardino, rumori di auto risalgono dalla strada, una voce urla seguita da una risata giù in cortile. Mi sento meglio, non capisco cosa mi abbia preso ma è andata bene. Ci dovrebbe essere ancora del caffè nella moka, ne berrei un altro po’ per rimettermi in sesto prima di uscire, sarà stato un calo di pressione, alla mia età succede.
Mi tiro su e mi sento leggerissimo, come se non fosse accaduto proprio nulla, anzi meglio del risveglio di stamane dopo otto ore di sonno. Addirittura mi sento rinvigorito, ringiovanito come mai da quando ho superato la sessantina. Che strano, un attimo fa mi era parso di sentirmi male, ora invece non sono mai stato meglio.
Faccio per uscire dal soggiorno quando, già sulla soglia, mi vedo ancora seduto in poltrona. Torno due passi indietro e mi rivedo proprio lì, sono io, con le braccia sulle gambe, la testa appoggiata e piegata di lato, gli occhi leggermente sbarrati, la bocca semiaperta. Se non fosse per quegli occhi lì, si direbbe che stia dormendo, pure il colorito mi appare roseo, in salute, le dita delle mani rilassate, i piedi ben piantati sul pavimento. Ma allora, io chi sarei? Lui di fronte a me! sono sicuramente io, non mi posso sbagliare, ma io di fronte a lui! sono proprio io? Chi dei due è ancora me? Direi io, che posso parlare mentre lui è fermo e zitto. Un momento! Io non sto parlando, non riesco a tirar fuori la voce, ci provo ma non sento nulla, eppure li sento i rumori di fuori, il frigo in cucina, la caldaia in bagno, la sveglia sul mobile, l’ascensore al piano in questo istante. Adesso allungo il braccio verso il me seduto, gli sfioro la spalla… ma non la tocco! e non sento la poltrona né la parete dietro! Mi guardo nella vetrina della libreria e mi vedo, anzi vedo tutt’e due, me e lui, lui che è me e me che non so chi io sia.
Ora lo dico, anzi penso, piano però perché finora non mi sono spaventato: sarò morto? Cioè: lui è morto? Perché, a ben guardarci, lui non mi sembra che stia respirando, né il petto né la pancia danno segni di movimento, è tutto così immobile, pur con un colore vivo, che a questo punto non esistono dubbi: è proprio morto! E poiché lui è stato me fino a poco prima che si sedesse in poltrona, posso affermare con sicurezza: sono morto, io! Ma come? Io non ho sentito dolore, cioè un dolore molto forte come presumo debba succedere in punto di morte, così come ho letto e sentito nella mia vita, mettiamo se fosse stato un infarto l’avrei dovuto sentire, eccome! invece che un malessere da calo di pressione o un’intossicazione, un reflusso gastroesofageo o un attacco di panico. Adesso si muore così, senza soffrire? Cos’è stata, allora, una patologia sconosciuta? Perché a essere morto, sono morto, pure lui comincia a perdere quel colorito sano, anzi cominciano a venir fuori delle chiazze violacee sul volto, le dita mi sembrano un po’ rattrappite, e in quanto a muoversi non si muoveva prima e continua a non muoversi, gli occhi, sgranati, sembrano così spenti dentro che bisognerebbe chiuderglieli a questo qui, che se è morto come appare, tra non molto sarà un cadavere bello e buono, una salma, un defunto. Lui, e io chi sono, invece? Un fantasma, uno spirito, un’apparizione, un’anima? Ma chi è più vero di noi, lui che non è più o io che non so chi cazzo sono?
Calmiamoci adesso e vediamo di ragionare. Intanto andiamo a prenderci questo caffè e riordiniamoci le idee così arriveremo a capo di qualcosa, solo alla morte non c’è rimedio! Eccomi qua, la moka è sul tavolo, mi avvicino ma non riesco a toccarla, tantomeno a prenderla, ci riprovo ma è inutile. Ritento col cucchiaino che è più leggero ma neanche a parlarne, se potessi parlare… L’unico che potrebbe ancora bere un caffè sarebbe quello là in soggiorno ma io non posso portarglielo e lui non può venire, a meno che non si sia alzato proprio in questo momento. Mi sporgo dalla cucina ma è sempre lì in poltrona, nella stessa posizione reclinata. E se poi si alzasse, io sparirei? e sparendo, rientrerei in lui, ridiventeremmo corpo e anima? Ora so con certezza che non può vivere senza di me, se io ci sono anche lui esiste, ma io, è così! posso esserci pure senza di lui. Che cosa devo fare adesso? Provare a rientrargli dentro? ma come si fa? Mi ci vado a sedere addosso? Oppure posso passare dal terzo occhio, come dicono i buddisti: ma l’avrà, lui che è cristiano?
Vado in soggiorno e mi ci metto di fronte, tento di chiamarlo uno due tre volte, ma la voce non mi esce, mi concentro e penso intensamente al suo nome. ma, non ci credo! non me lo ricordo più!
Non perdiamo la calma. Dunque, sto sognando? Non mi pare, sono troppo presente, cosciente, e mi sto focalizzando su questo punto: sono sveglio, non è un sogno neppure indotto, sono in soggiorno e mi vedo su una poltrona addormentato. Adesso mi do un pizzicotto così sciolgo il dilemma. Non riesco a toccarmi, mi trapasso! È incredibile! Come fossi di aria ma non invisibile, vedo ogni cosa, sento i rumori in casa e fuori, ma non posso palparmi, e non fiuto alcun odore, neppure il caffè. Che creatura sono con la sensibilità più che dimezzata? Chi sono diventato?
Non sto sognando, questo è assodato. Che, quello lì, sia svenuto oppure in coma? Ecco la spiegazione: lui è in stato comatoso e io sono il suo corpo sottile che fuoriesce da quello fisico e rimane sullo stesso piano materiale, corporeo, ho letto tanti libri di esoterismo e di mistica oltre che sugli stati di premorte. Sì, d’accordo, caro il mio lettore, ma dov’è il tunnel di luce bianca e accecante che ti risucchia e mette in contatto con il mondo dell’aldilà? Io sono nel soggiorno di casa mia! e di là dalla cucina, semmai!
Altro che coma! Io… insomma lui è morto, guardalo com’è ridotto, diventa sempre più pallido, la pelle diafana. E quel ghigno cadaverico che gli sta affiorando sulle labbra che rinsecchiscono a vista d’occhio scoprendo i denti in quella smorfia disgustosa da teschio? Rassegniamoci e ammettiamolo: è proprio morto, altroché! e io sono l’anima, momentaneamente in pena, ma è certo che non leggerò più nessun giornale né ordinerò una pizza da asporto e neppure guarderò il telegiornale. Devo mettermelo bene in testa che da questo momento in poi si cambia vita!
Se penso a tutte quelle robe lette sui libri, che quando si è in punto di morte in un attimo ti scorre tutta la vita davanti, come un film rivedi ogni momento cruciale, che afferri il senso del tuo vissuto in ogni insignificante e inspiegabile episodio. Com’è che non l’ho visto ‘sto film, io? Era su un canale a pagamento? Quante stranezze stamattina, quanti misteri, se non fossi morto mi sarebbe scoppiata la testa. Se mi fossi svegliato prima, se avessi fatto colazione al bar vicino all’edicola anziché attardarmi sotto la doccia, forse a quest’ora sarei stato ancora vivo, il destino è uno e basta: se il mio s’è compiuto sulla poltrona, non sarebbe mica venuto con me a prendere un espresso e il giornale… E se m’avesse aspettato qui seduto in soggiorno, avrei potuto fare anche una lunga passeggiata salutare, giusto il tempo che si fosse stufato di aspettarmi in casa. Mi serva da lezione, la prossima volta!
Allora, è finalmente deciso per sempre: sono morto! cioè lui, il mio corpo, è morto, io, la sua anima, sono vivo. Quindi ho anche svelato a me stesso quest’arcano: esisto come anima, io anima sopravvivo al corpo, c’è vita dopo la morte, ci ho sempre creduto a tutte quelle letture sull’argomento escatologico, ero convinto che i nichilisti, gli atei si sbagliavano.
Per tutta la vita ho sempre saputo che ci sarebbe stato quest’esito, che la signora con la falce sarebbe venuta a prendere anche me, quanta paura ho avuto di essere sul punto di morire, tutti quei pensieri su questo momento fatale. Ai funerali vedere quelle bare chiuse, le fosse nei cimiteri e i loculi, oppure gli agonizzanti nei letti d’ospedale, i sofferenti, i malati terminali, le vittime degli incidenti, gli assassinati, i suicidi, gli annegati, i carbonizzati. Guarda che a ben pensarci mi sono tolto un bel peso dallo stomaco, e poi così, senza dolore: in un botto ero vivo e l’attimo dopo morto.
Bene, lui è morto, se avessi l’olfatto sentirei senz’altro la sua puzza, chissà non mi tocchi assistere alla comparsa di un verme da una narice, ma io cosa devo fare? Il tunnel bianco accecante non s’è visto, il vortice risucchiante nemmeno, la luce luminosa non c’é, anzi tra un po’ qui viene sera, suoni celestiali non ne sento, solo la radio del vicino di casa sintonizzata sulle partite di calcio, i propri cari deceduti che ti accolgono per varcare la stretta soglia d’accesso all’altro mondo da me non sono venuti, fosse stato anche per un saluto, probabilmente tra non molto sfonderanno la porta i vigili del fuoco richiamati dall’odore nauseabondo. Un angelo, un santo, una creatura ultraterrena, uno spirito di luce, una divinità pagana, un folletto, un marziano, Babbo Natale: qua non è arrivato nessuno! Cosa c’è oggi, uno sciopero nelle alte sfere? Cosa devo fare io? vegliare il morto? chiamare il 118?
Sta venendo buio e lui è sempre immobile sulla poltrona, oramai irrigidito con una bruttissima cera, la smorfia sulla bocca ora ha una forma inquietante, gli occhi acquosi. Cosa ci faccia ancora qui io, non capisco che senso abbia. Nessuno si fa vivo a cercare lui, che so? una telefonata, una scampanellata alla porta o al citofono. Non era sposato, figli non ne ha avuti, i genitori sono morti, figlio unico, altri parenti in città non ne ha e quelli fuori saranno anziani o deceduti pure loro, pertanto chi lo deve cercare? Alla fine le pompe funebri, salvo che non diventi questa casa la sua tomba.
Oddio! Comincio ad aver paura, è buio e sono da solo in casa con un cadavere, adesso esco da questo soggiorno e…. dove vado? Che situazione! Possibile che nessuno si faccia vivo neanche con me? Cosa c’entro io più con questo mondo? Non sono capace di accendere la luce, chiudere la porta della stanza dov’è quello lì o aprire quella di casa per andarmene… ma dove? all’edicola o al bar? o a cercare un cartello stradale per l’altro mondo? Sapessi almeno a quale mondo io appartenga.
E se non fossi l’anima ma soltanto un’emozione, una facoltà intellettiva, un sentimento? Ecco spiegato allora perché continuo a rimanere vicino a lui e non passo oltre su piani più sottili, per esempio il piano astrale. Quindi mi dissolverò anch’io, sparirò quando lui sarà seppellito? anch’io rinchiuso nella bara, da vivo, in un loculo o sottoterra? E cosa farò, io, nei prossimi dieci venti trent’anni mentre lui si decompone, le parole crociate?
Ecco, non riesco a toccare le cose materiali, dalla moka alla maniglia delle porte, ci ho provato ma non funziona, non ho questo potere. Ho tentato di attraversare le pareti ma non ho potuto, ho provato a volare ma non mi è riuscita neanche la levitazione, anzi con tutti quei tentativi e saltelli ora ho pure il fiatone. Ho incrociato le gambe nella posizione dello yoga recitando qualche mantra, formule ascetiche, preghiere religiose, ma inutilmente: mi sono appisolato. Ho riprovato col pensiero positivo e la forza della mente, con le frasi motivazionali, tutto a vuoto, un buco nell’acqua… sono caduto in una depressione profonda. Vincendo le mie paure, sono tornato in soggiorno e di fronte a lui nell’oscurità ho tentato improbabili esercizi di rianimazione, massaggio cardiaco, respirazione bocca a bocca, ho pronunciato disperato, che bestemmia! alzati e cammina! Invano, non ho ottenuto alcun risultato. Sono fottuto: lui è morto e io sono un disabile totale.
Vado alla finestra, guardo fuori il passaggio delle auto, le persone in cammino, tutti si staranno dirigendo da qualche parte, sapranno cosa fare e come farlo, sono nel posto giusto. Io fino a stamattina non sapevo nemmeno di esistere e chi fosse quello lì sulla poltrona, mi sono appoggiato a lui che, credo, avesse sempre saputo cosa fare a differenza di me, che sicuramente avrò fatto tante cose assieme a lui, ora non me ne ricordo una, ma non appena sono rimasto da solo, una volta sbucato fuori, non so affatto chi io sia, da dove venga e dove sia diretto. Ma perché non sono morto anch’io? Avendo iniziato a vivere dopo la sua morte, chi potrei dunque essere? un rantolo, l’ultimo alito di vita, un peto, un rutto?
È l’alba, ho passato la notte dietro ai vetri della finestra a guardare quel fuori che non è più il mio mondo, o forse non lo è mai stato. Ritorno in soggiorno e la poltrona è vuota! Quello lì non c’è più! Miracolo, è resuscitato! Lo cerco nel bagno ma niente, in camera da letto non c’è, in cucina neppure. Guardo sotto il letto, sotto i mobili, il divano, sugli armadi, i lampadari, i soffitti, nella doccia, la vasca: niente di niente, nessuno, non c’è, sparito! Non ho sentito aprire né porte né finestre stanotte, nessuno è entrato tantomeno uscito da questa casa, quindi dov’è finito? Lui era un corpo, non può mica disintegrarsi in una notte. Ma è davvero esistito, lui? L’avrò immaginato, che sia solo stato una mia proiezione esteriore, che l’unica sostanza sia sempre stato io? Che confusione! Non ce la faccio ad aprire la porta di casa né le finestre, non attraverso i muri né spicco il volo.
Adesso mi siedo all’ingresso e aspetto con pazienza. Alla fine qualcuno arriverà a cercarci e se lui dovesse tornare indietro, io starò buono buono ad attendere. Qualcosa succederà, io non sparisco mica: mi fermo qui, immobile e aspetto.

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