Alla fine della primavera, in una bella giornata di sole, una domenica mattina la cittadina di Nguaiata, sfiorita come una signora avanti con gli anni, era stata completamente evacuata. Nel letto del torrente che l’attraversava da parte a parte come una sottile lama erano stati ritrovati degli ordigni bellici inesplosi, risalenti all’ultimo conflitto mondiale. Pertanto, per poter effettuare in sicurezza il disinnesco, era stato predisposto lo sfollamento dell’intera popolazione residente. Si trattava di una normale ma pericolosa operazione militare di bonifica che richiedeva norme drastiche per l’effettuazione. Magari fosse stato possibile prevedere i sommovimenti tellurici che avevano investito il territorio negli anni e nei secoli addietro, falcidiando la gente. Oppure sgomberare la cittadinanza in tempo prima che fossero compiuti quei devastanti bombardamenti aerei della guerra, le cui tracce erano rimaste sepolte nel corpo della città fino all’ultimo ritrovamento. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, l’aria tiepida, l’estate era in arrivo con la speranza che non diventasse rovente, gli alberi in fiore non ancora assetati, il torrente scorreva placido, non in secca, gli uccelli svolazzavano cantando e fischiettando. Le strade erano libere dalle automobili e dal traffico congestionato, i marciapiedi dagli escrementi canini e dall’immondizia abbandonata o gettata alla rinfusa. Gli uffici vuoti, senza file indisciplinate di utenti, in assenza di impiegati al loro posto. I negozi chiusi, compresi bar malfamati e agenzie di scommesse. Non c’erano né liti né urla, suoni di clacson o sirene. I lavori stradali erano stati sospesi, i ponteggi nei cantieri smontati, non sfilavano processioni né cortei. I semafori spenti, vigili urbani e netturbini irreperibili, così come i perdigiorno e i lestofanti. Non si avevano notizie del dissesto economico-finanziario in cui versava il Palazzo del Comune, ma non era certamente sparito (a differenza del Partito monocolore che aveva lungamente dominato la città), così come le raccomandazioni clientelari e i sotterfugi politici. Tutto taceva sul fronte dell’ipotetico e ventilato fallimento delle squadre di calcio e basket, unico vanto del luogo, a causa di gestioni societarie dissennate e delinquenziali. I servizi psichiatrici di diagnosi e cura, con l’intera azienda sanitaria locale, languivano affossati nei debiti di una mala gestione cronica e impunita. Ma, nonostante tutto questo e altro ancora, irriferibile sulla pagina e a voce, una pace misteriosa aleggiava sull’intero centro. Nguaiata, tutta assorta su sé stessa, non si riconosceva in questa insolita quiete. Confusa e inebriata al contempo, librandosi nella leggerezza e nella fluidità del suo respiro naturale, finalmente libera dagli affanni, a occhi chiusi e con l’animo disteso riposava le sfinite membra. Cosicché, raccolte le forze rinate, le aveva concentrate nel letto del torrente fortificandone il greto che aveva reso inaccessibile al genio militare, al cui interno custodiva come una cassaforte inespugnabile tutte le bombe della sua futura salvezza, dalla fondazione all’eternità.

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